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venerdì 1 marzo 2024

Riflessioni

 Non ricordo in quale romanzo Milan Kundera parla del senso del tempo degli antichi Greci, forse
ne L''INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE, o forse ne LA VITA E' ALTROVE, in ogni caso quello che dice a proposito di tale argomento è che per i Greci il tempo scorre in avanti, una percezione quindi tutto sommato abbastanza vicina alla nostra di occidentali moderni, tuttavia, e in questo sta la differenza con noi, essi pur andando in avanti e percependo questo scorrere,  guardano indietro, quindi procedono in avanti marciando si può dire all'indietro, che è un po' come dire che non dimenticano il passato, che l'hanno sempre presente in qualche modo, e con esso ricordano i successi e gli insuccessi, le vittorie e le sconfitte. C'è chi dice poi che la vita sia una scala, chi sostiene che sia fatta a scale insomma, chi le scende e chi le sale o chi talvolte le scende e talaltra le sale, con un po' di alternanza. Con questi pensieri mi trovo a riosservare una fotografia in cui do le spalle a delle scale. le starò scendendo o salendo?

Come si può vedere al culmine di esse c'è una finestra, c'è la luce, il che è abbastanza incoraggiante, se le salgo, magari all'indietro come i Greci, un po' meno se le scendo. Questa è una delle fotografie di me che mi piacciono maggiormente, per varie ragioni, anche perché mi fa pensare a quel senso del tempo di cui abbiamo appena parlato, su cui stiamo anzi ancora ragionando. Oggi, che è passato un po' di tempo da quello scatto, per l'appunto, devo dire che di salite ne ho affrontate, e di discese naturalmente, alcune delle quali, fuor di metafora, anche su veri e propri monti, le Alpi Apuane per esempio, delle quali da quella finestra il Gabberi fa da anticipo. Proprio sulla vetta di quello si osserva un panorama di notevole suggestione. Oggi che, con molti sforzi, sono divenuto proprietario di quello stesso appartamento in cui quella foto è stata scattata, ripensare alle salite e alle discese propriamente dette, e anche in senso metaforico, fa un po' impressione. In un certo qual modo la percezione del tempo dei Greci, mi fa pensare al gomitolo bergsoniano, in cui il filosofo francese simboleggia l'esperienza passata accumulata.

domenica 25 febbraio 2024

Sempre a proposito di ORIENTE e OCCIDENTE

 Sono molti gli spunti che questo libro, ORIENTE e OCCIDENTE, suggerisce, così numerosi che ci guardiamo bene dal pensare di aver esaurito con l'articolo precedente gli argomenti e le riflessioni possibili. Quello che ci preme sottolineare  è che nonostante sia un testo datato, ci si possono trovare riflessioni straordinariamente attuali. Pensiamo che invitare alla lettura di questo testo, in modo che ciascuno possa farne una esperienza in prima persona, costituisca un suggerimento prezioso, suscettibile di fornire molte risposte, e soprattutto ai quesiti di chi ha ravvisato negli eventi recenti che ci hanno coinvolto, con particolare riferimento ovviamente alla vicenda covid, il manifestarsi di numerosi difetti ascrivibili, certo, al genere umano in generale, in particolare però all'uomo occidentale. Sono tutti difetti di cui Guénon ha copiosamente parlato, poiché erano evidentemente già presenti nell'occidentale di inzio XIX secolo, anche nel passato quindi, tuttavia il ripresentarsi di questi stessi difetti è avvenuto ad un livello assolutamente impensabile, tanto da far pensare ad un peggioramento repentino delle condizioni sociali e culturali in Occidente, ad un declino preoccupante, ad una degenerazione e degradazione tali da non sembrare quasi possibili, da lasciare increduli. E questa incredulità, questo stupore, sono anche in ragione del fatto che c'era chi evidentemente, come Réne Guénon, avvisava di questi stessi difetti, in modo da indicarne anche la possibile correzione. Eppure c'è stato un aggravio della situazione. Perché niente o quasi è stato fatto nonostante le molte indicazioni?

Probabilmente, come accenavamo anche nell'articolo precedente, una certa responsabilità deve averla avuta il fatto che l'autore stesso del testo, aveva nei confronti della Demcrazia più che un certo scetticismo e la trovava incompatibile cone la costituzione di una élite in grado di esercitare una certa influenza volta a correggere i difetti in questione. Altre ragioni potrebbero risiedere nel fatto che alcuni ostacoli siano stati apposti più o meno deliberatamente sul cammino della correzione da qualcuno, singolo o gruppo, il quale, per qualche ragione sulla quale non ci addentriamo in questo momento, non aveva interesse che una tale correzione dei difetti avvenisse. In pratica, tra errori di impostazione e contrasti intenzionali e non, l'auspicio guénoniano non ha avuto l'effetto sperato dal francese. Saremmo davvero curiosi di sapere quale impressione avrebbe destato su di lui, uno sguardo sulla vicenda covid, e che cosa ne avrebbe pensato. Abbiamo cercato di mettere in luce con una serie di ragionamenti che la Democrazia ben lungi dall'essere un impedimento per la costituzione di una élite o gruppo avente la missione di correggere questi difetti, può anzi favorire lo sviluppo dapprima dei singoli e poi del gruppo stesso. Sarebbe sufficiente avere presente il discorso di Pericle agli ateniesi sulla Democrazia a nostro avviso, per capirne il buono e le dinamiche meritocratiche attraverso le quali un filtro naturale si verrebbe a costituire favorendo e non ostacolando tale creazione. Chi è dotato intellettualmente in una Democrazia pienamente sviluppata, troverebbe di che nutrirsi e svilupparsi, alla stregua di quanto avverrebbe, per Guénon, in una società tradizionale. Se in Occidente non troverebbe che ostacoli, ciò è dovuto al fatto che NON siamo purtroppo in una Democrazia pienamente sviluppata, anzi, un numero crescente di indizi lascerebbe intendere che siamo solo in una parvenza di Democrazia, sembra cioè che il blocco occidentale abbia indossato la maschera democratica, illudendo i più di un suo sussistere, mentre di autentica Democrazia non c'è praticamente niente o quasi. Ora, se qualcosa ti tiene in uno stato di allucinazione tale che vedi la Democrazia dove essa non è, la funzione della maschera esercita tutta la propria nefasta influenze poiché dietro di essa avvengono in modo piuttosto indisturbato dinamiche del tutto opposte. Se invece attraverso un'opera di risveglio, ti accorgi che non siamo in un mondo democratico, forse puoi fare qualcosa, anche svegliare altri e tentare di apportare magari insieme ad essi qualche auspicabile correttivo. Senza questa presa di coscienza, senza cioè notare la maschera, diventa molto difficile fare qualcosa. Non notare la maschera, inoltre, determinerebbe taluni effetti secondari, se così si può dire, come per esempio quello di vedere accusare la stessa Democrazia di essere inutile e sostanzialmente inservibile per la crescita e lo sviluppo delle singole personalità dal notevole potenziale intellettivo e delle società dove esse albergano. Dal momento che non se ne vede l'emergere, essi argomentano, vuol dire che la Democrazia non favorisce questa dinamica di emersione, tant'è che qualcuno comincia ad impugnare simili argomentazioni per perseguire un ulteriore svilimento democratico, per deprivare cioè delle ultime propaggini democratiche una società solo apparentemente tale e, in vero, già copiosamente espoliata di essa Democrazia. Invece, appunto, la Democrazia non c'entra niente nel bloccare questo sviluppo. Ad entrarci sono invece dinamiche che gli si oppongono talvolta anche apertamente, e tuttavia nella maggioranza dei casi nascostamente. Quando l'opposizione è aperta, ha se non altro il pregio di essere riconoscibile come tale, per quanto una simile onestà appaia in genere soltanto quando chi la manifesta ha appurato il sussistere di un tale stato degenerato di cose da ritenere di poter uscire in campo aperto senza temere che gli oppositori possano fare qualcosa per guastare un progetto di spoliazione democratica evidentemente così avanzato da andare avanti quasi per forza di inerzia e senza contrasti a prescindere dalla limpidezza o non delle affermazioni, dello schiarirsi delle posizioni. C'è in pratica un potere che si manifesta come apertamente non democratico solo quando ritiene che poco o niente possa opporglisi, che poco o niente possa opporsi all'instaurarsi di un regime autoritario, arbitrario e dispotico.

venerdì 26 gennaio 2024

A proposito di ORIENTE e OCCIDENTE

 Gli auspici di Guénon non si sono realizzati. Egli esprimeva in quel saggio intitolato appunto ORIENTE e OCCIDENTE, pubblicato nel 1924, la speranza che si costituisse una élite in grado di far superare al mondo occidentale quei difetti, in vero così numerosi, che ne offuscavano la vista, riflettendosi negativamente sia nel presente a lui contemporaneo che in prospettiva, sui rapporti con il mondo orientale, superamento auspicato per favorire una migliorata comprensione reciproca.
È difficile stabilire se e quanto questa élite, posto che si sia veramente costituita, dubbio scaturito dal fatto che l'autore stesso aveva avuto modo di elencare tutta una serie di difficoltà inerenti alla costituzione di un simile gruppo, abbia operato e ottenuto risultati, perché alcuni elementi farebbero propendere per una risposta positiva, altri per una negativa. Per esempio le tensioni di oggi che sono quasi al parossismo sono preoccupanti e le tendenze autolesionistiche occidentali di cui egli lamentava la presenza in quel saggio, sembrano oggi fare di nuovo capolino in tutta la propria evidenza, condensandosi in ipotesi che evocano scenari non certo tranquillizzanti  soprattutto quando qualcuno ipotizza o preconizza guerre assurde, che sarebbero del tutto catastrofiche, forse dimenticando che il rischio di allargamento di una eventuale guerra, che condurrebbe inevitabilmente ad una terza guerra mondiale con rischi nucleari, oggi è altissimo proprio per la disposizione di quei blocchi così come si sono creati in passato e sussistono ancora oggi, e che, pur con le dovute eccezioni e i dovuti aggiornamenti, ricalcano la distribuzione culturale, geografica e geopolitica riassumibile per l’appunto con l’espressione ORIENTE e OCCIDENTE.
È difficile sì, perché anche se non possiamo negare che qualcosa, forse addirittura molto, sia stato fatto, in diverse forme e con diversi metodi e sistemi oltreché in diversi periodi, qualcosa non deve aver funzionato e così nel tentativo di leggere se e quanto sia stato fatto ci troviamo di fronte ad impressioni opposte che vorremmo cercare di armonizzare. Cominciamo quindi col considerare che, anche precedentemente a Guénon, per esempio, già a cominciare dall'Ottocento e per tutto il Novecento assistiamo alla diffusione di elementi culturali orientali vari, a volte eterogenei, sempre tuttavia suggestivi e interessanti, a cominciare dal pensiero religioso, filosofico, filosofico religioso, dalla diffusione delle varie arti marziali, all'arte della scrittura per ideogrammi estremo orientale, a quella artistica, con le famose stampe giapponesi che tanto hanno influenzato un certo tipo di arte europea, l'arte architettonica e pittorica e scultorea tradizionali, pensiamo poi a discipline come lo yoga, tutte cose che hanno contribuito ad inondare l’Occidente di sapori orientali, vorrei dire di oriental zaffiro, se mi si passa l’espressione. Altre azioni si sono svolte ad opera di personaggi complessi e interessanti che hanno diffuso sistemi per la conoscenza di sé e delle leggi del mondo in generale, cose che hanno un legame con antiche tradizioni asiatiche o dell'Asia Minore, e che in alcuni casi corrono il rischio di essere malamente interpretate, scimmiottate, quindi rischiano di degradarsi, di svilirsi in un certo senso, promettendo a volte con un po’ troppa faciloneria contatti con nuove dimensioni, espressione di cui diffido sempre, altre volte in modo marcatamente più serio e commisurato allo sforzo cosciente profuso,  percorsi di crescita personale, spirituale, sviluppi armonici della persona umana.
 

Se Rudyard Kiplyng diceva un po’ pessimisticamente che l’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occidente e i due non si incontreranno mai, rivedendo solo parzialmente questa visione in un modo ritenuto da Guénon non soddisfacente, George Ivanovic Gurdijeff invitava di contro a prendere la comprensione dell’oriente e la scienza dell’occidente per poi mettersi a cercare, sottolineando in questo modo che le specificità delle due macroaree culturali, prima ancora che geografiche, avessero qualcosa di complementare sì da indurre a pensare a diverse polarità che per quanto diverse e anzi proprio per questo come sappiamo dalla fisica si attraggono, e addirittura incoraggiare incontri per uno scambio presumibilmente proficuo. Insomma, l’idea di Kiplyng che i due mondi non potessero incontrarsi, per quanto rappresentasse al tempo in cui il pensatore francese scriveva il suo testo di critica, l’opinione della maggioranza degli europei, le cose andavano in realtà gradualmente modificandosi, creando le premesse per scambi che poi realmente sarebbero avvenuti nelle forme cui ho accennato prima, con movimenti culturali aventi una impostazione di chiara estrazione orientale che hanno condizionato e influenzato il pensiero occidentale, in molti settori, compreso quello musicale, come sa la mia generazione e anche quella recente se è vero, com'è vero, che brani musicali come Occidentalis Karma, dal sapore intellettuale e ricercato, contengono già nel titolo riferimenti espliciti al mondo orientale, e riescono con un liguaggio musicale moderno e popolare a raggiungere le masse, quindi a diffondere la conoscenza di quelle nozioni di derivazione orientale di cui parliamo, in modo conciso, didascalico magari, e tuttavia pur sempre in grado di risvegliare curiosità foriere di approfondimenti successivi.


Per quanto Gurdjieff rimanesse inviso a Réne Guénon, per motivazioni che conosco solo parzialmente e sulle quali non indagherò né scriverò adesso, dobbiamo riconoscere che una certa influenza egli l’abbia avuta sull’Occidente, forse maggiore di quella che ha avuto Guénon stesso, poiché più lenta e invisibile probabilmente, però profonda, duratura, di una portata ampia, a prescindere dal sistema che l’armeno proponeva in sé, sistema per il quale sussistono anche dal mio punto di vista elementi criticabili e forse in alcuni casi addirittura contraddittori, sempre che non si tratti di quella apparente contraddittorietà che taluni allievi del maestro di danze riscontravano sussistere talvolta nel suo sistema, e che si mostravano non in contraddizione, sempre a detta degli allievi, una volta entrati in possesso della chiave giusta di lettura. Nessun pregiuzio, né giudizio affrettato né definitivo quindi, però anche qui non mi addentro nell'esposizione delle critiche, che in alcuni articoli del passato ho comunque cercato di esporre, benché probabilmente in modo parziale e imperfetto, limitandomi a citare in questa sede solo il fatto che difficilmente riesco a coniugare sviluppo armonico e sistema degli scossoni emotivi e del produrre artificiosamente crisi che, per quanto possano avere una certa valenza rispetto a certi obiettivi e insegnare talune cose, per quanto cioè possano essere delle esperienze, difficilmente possono farsi passare per armoniche, essendo espressamente fondate sulla presentazione della disarmonia, della stridente frizione.
Sono utili gli scossoni emotivi, la frizione, lo stridore? Qualunque cosa si risponda, sia che siamo d’accordo oppure no, sforziamoci di non chiamare tutto questo armonia. In ogni caso non è di questo che vorremmo parlare in questa sede giacché ci porterebbe troppo lontano dall'argomento di cui vorremmo veramente occuparci, cercheremo pertanto di riportarci sull’argomento originario.

 
Che tra mondo orientale e occidentale, col tempo qualcosa sia cambiato, che una certa osmosi, se mi si passa l’espressione, ci sia stata, non credo che possano sussistere dubbi, per quanto gli auspici dell’illustre francese non sembrino essersi purtroppo realizzati, come dicevamo all'inizio. Nell'osservare questa stessa osmosi sembra di ravvisare che il mondo orientale sia stato più bravo a incamerare la scienza dei quello occidentale di quanto quest'ultimo sia stato in grado di incamerare la comprensione di quello orientale.
Se dunque gli scambi tra questi mondi pur essendo avvenuti e forse sia in modo palese, evidente, che in modo invisibilmente proficuo, tuttavia tutto questo non è stato sufficiente a disinnescare quei difetti particolarmente Occidentali che compromettono la comprensione reciproca, così nell'interpretare oggi quelle che sembrano essere le dinamiche attualmente in corso tra blocchi geopolitici definibili orientale e occidentale, questi sembrano proprio essere la risultante del riapparire di quegli stessi difetti, avvenuta peraltro in modo piuttosoto evidente e forse addirittura accentuato rispetto al passato. Infatti nel leggere queste recenti dinamiche possiamo notare che in modo del tutto concomitante riappare quell'autolesionismo cui accennavamo prima, cosa che Guénon aveva segnalato come precipuo del mondo occidentale e che non a caso, induce a perseguire strade autodistruttive come sarebbe per l'appunto quella dell'innesco di una terza guerra mondiale. Che poi una attitudine autodistruttiva si trasformi o coincida spesse volte con una distruttiva, e viceversa, ciò appare abbastanza evidente, così come pare logico che ciò avvenga quando, eclissate le facoltà superiori, non si riesce a comprendere adeguatamente che con una guerra non si ferisce soltanto, poiché si è sempre anche feriti. Cioè a dire, un intento distruttivo che canalizzi questa energia verso l'esterno produce una reazione per la quale essa ritorna in un certo qual modo indietro, da cui l'autodistruzione. Insomma il difetto di chi non nota queste dinamiche in vero comprensibilissime, consiste in un grossolano errore di valutazione probabilmente dettato da che cosa se non forse da uno smisurato egocentrismo, che a sua volta stimola  il senso di esaltazione, il quale, quando è presente, annebbia la vista e rende incapaci di percepire la realtà così come essa si presenta?

Questo riapparire in modo accentuato dei difetti, con tutti i rischi che ciò comporta, cosa per intravedere la quale non è necessaria l'acutezza di un Kwaiagan, può forse essere determinato dal fatto che il blocco occidentale sembra stare attualmente rinunciando perfino ai migliori risutati da esso ottenuti nell'arco della sua storia, stiamo alludendo alla Democrazia naturalmente e a ciò che la rende attuabile cioè a dire la rappresentatività, alti livelli di rappresentanza del popolo la cui voce, come dice la vulgata, è spesse volte identificabile con la stessa voce di Dio.

Vox populi, vox dei.

Anche questa rinuncia è un fenomeno ascrivibile all'autolesionismo di cui abbiamo accennato. Tuttavia mi è fatto dovere di segnalare che in questo caso non corrisponde all'opinione di Réne Guénon, quanto ad una mia opinione personale, e su l'argomento Democrazia in rapporto col nostro, ci riserviamo di parlare in seguito, ritenendo l'argomento ben degno di nota, argomento la cui indagine può portare ad interessanti osservazioni e forse addirittura all'individuazione di una chiave di lettura suscettibile di indicare una via d'uscita da questa sitazione di tensione e dalla degradazione particolarmente occidentale che ne è la maggiore causa.

Per adesso continuiamo a dire che ci sono altri problemi che rendono difficile la correzione dei difetti occidentali e ci guardiamo bene dal pretendere di elencarli tutti, rimandando al saggio del pensatore tradizionalista francese per una presa visione della lista completa tra quelli  da egli intravisti, alcuni dei quali particolarmente interessanti. Non possiamo quindi non accennare allo scientismo su cui ha scritto pagine di grande interesse ed estremamente attuali, e non possiamo non accennare al fenomeno del difficile affermarsi di intelleti dotati che sembrano incontrare enormi ostacoli sul cammino del proprio sviluppo, mentre sistemi di sviluppo sarebbe opportuno che venissero trovati particolarmente in uno Stato come l'Italia, che sembra avere una Costituzione fatta proprio per favorire questo tipo di sviluppo salvo dimenticarsene. Quest'ultimo fenomeno è alla scaturigine di una moltitudine di conseguenze e problemi. Spesse volte, per esempio, i cittadini italiani si lamentano del fatto che a rivestire taluni incarichi siedono persone che non sembrano proprio essere le più appropriate, cosa dalla quale scaturisce un danno sociale. E questi danni sembrano anche molto frequenti purtroppo, molto diffusi, così sommandosi gli uni agli altri contribuiscono ad aggravare la situazione.

Guénon ci ricorda che in una civiltà tradizionale chi è dotato intellettualmente trova tutte le opportunità per sviluppare le proprie attitudini; in Occidente invece non troverebbe che ostacoli, spesso insormontabili, egli dice. Come dargli torto. Ed ecco perché avere una Costituzione come la nostra, in cui la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana è dovere dello Stato, rappresenta per noi una fortuna, è cosa assai preziosa e può costituire quell’elemento rivitalizzante che, evidentemente già presente in Occidente e addirittura codificato al più alto grado delle fonti del diritto, quell’elemento dicevamo in grado di invertire la rotta, tale per cui ciò che solo si ipotizzava di poter incontrare in Occidente, cioè a dire solo ostacoli, trova fortunatamente una smentita, cosa oltremodo augurabile. Insomma per il mondo occidentale o se vogliamo per il blocco occidentale, la presenza della Costituzione della Repubblica Italiana è attualmente il solo fattore riconoscibile, in grado di gettare una qualche speranza, un po’di luce in un mondo gravemente affetto da repulsione della tradizione. E questa ci sembra una ragione sufficiente per difenderla strenuamente da ogni attacco. Così non possiamo che dispiacerci dinanzi alla scomparsa di autentici difensori della nostra Fonte delle fonti del diritto, oltre che umanamente per la cosa in sé, anche per il fatto di veder assottigliare il novero degli autentici difensori di essa, cioè per la recente scomparsa dell’Avvocato Besostri, che molto si è prodigato per correggere determinate storture inerenti alla dubbia costituzionalità specialmente di determinate leggi elettorali, gravemente distorsive della rappresentanza. Fenomeno dal quale, quello della sottorappresentanza dei cittadini a causa di una legge elettorale sbagliata intendiamo, non possono che scaturire problemi a cascata.

Per quanto riguarda il mio pensiero, ritengo che anche in una società democratica, chi è dotato intellettivamente troverebbe occasioni per sviluppare le proprie attitudini, anziché ostacoli, purché naturalmente si tratti di una autentica Democrazia e non di una sua maschera o di una parvenza poco probabile di essa, quali sono le società che oggi amano ancora fregiarsi di questo titolo pur avendo perso quasi del tutto le prerogative per fregiarsene in modo legittimo.

Ed è qui che il presente scritto, entra in un terreno abbastanza difficile, che pone questioni complesse da dirimere poiché nel saggio di cui ci stiamo occupando, l'autore non si domostra molto ben disposto nei confronti della Democrazia, cosa che personalmente gli imputo come errore. Probabilmente si tratta proprio di quell'errore, se ho ragione, per il quale i suoi auspici non hanno trovato soddisfazione.

Checché se ne possa dire, scrive Guénon, la costituzione di un'elite è inconciliabile con l'ideale democratico; quest'ultimo esige che un insegnamento rigorosamente identico sia impartito agli individui più eterogeneamente dotati, dalle attitudini e dai temperamenti più diversi; malgrado ciò è inevitabile che tale insegnamento produca effetti molto variabili, risultato contrario, però, alle intenzioni di chi l'ha istituito.

Per prima osservazione mi verebbe da dire che l'insegnamento uguale per tutti è più tipico delle dittature che delle Democrazie. Generalmente quando si assiste ad un certo tipo di appiattimento culturale, vorrei dire di livellamento e omologazione dell' offerta culturale in generale e specificamente formativa, la Democrazia è proprio ciò che pare essere assente perché, se presente, avrebbe semmai ovviato a tale problema, disponendo per esempio una varietà di punti di vista i quali devono democraticamente poter sussistere e coabitare nel rispetto reciproco. Ciò che fa difetto alla Democrazia non può essere il pluralismo e questo, direi, proprio per definizione. Non è tipico delle Democrazie quindi un insegnamento rigorosamente identico per tutti. E anche nel caso in cui dovesse essere effettivamente identico, cosa abbastanza difficile in chi propone una discreta varietà di tipologie di scuole, ordini e gradi, nonché la libetà d'insegnamento, è proprio il fatto che ciascun individo è diverso dagli altri che produce la varietà e la differenziazione poiché ciascuno incamererebbe da quell'insegnamento ciò che la sua indole gli può consentire di incamerare, in modo tale che si procederebbe ad una personalizzazione sempre e comunque. 

Di uno stesso testo o interpretando una moltitudine di discienti o interpretanti incamererebbe porzioni diverse e soltanto la discussione di gruppo potrebbe ricostituire integralmente l'interpretando stesso.

In quelli che ho chiamato  I miei studi da reintegrato, avevo, tra le altre cose, indagato quale ruolo potesse rivestire l'ermeneutica nella scuola, con uno sudio che si basava proprio sulla constatazione dell'apprendimento imperfetto dei discenti che di un testo o iterpretando, incamerano nella maggioranza dei casi solo porzioni di esso e difficilmente il testo integralmente, per cui solo una moltitudine di studenti che riferissero ciascuno la propria porzione a ciascuno degli altri potrebbero colletivamente garantire la ricomposizione integrale di esso. Questo per dire che cammin facendo, mentre scrivevo il testo in questione si era manifestata in me la netta sensazione che il problema nella didattica non è quasi mai nella varietà della proposta che comunque è ampia, addirittura sovrabbondante, quantomeno oggi, semmai è problematico trovare il modo in primis di selezionare le informazioni e i testi opportuni, in modo che siano anche adeguati a chi li riceve, e poi di intensificare e consolidare l'apprendimento, di renderlo duraturo se non permanente e possibilmente integrale. 

Ad ogni buon conto non ci sentiamo proprio in questo caso di confermare la tesi di Guénon circa la piattezza dell'offerta formativa in Democrazia, che egli ritiene identica per tutti, dal nostro punto di vista erroneamente, ed anzi ci sembra doveroso far presente quanto già espresso poc'anzi, cioè che è più facile che ciò accada appunto in dittatura, in un regime dispotico, in cui l'acculturamento, in senso lato, tradizionale o non tradizionale che sia. venga impiegato per creare sudditi senza strumenti pratici e concettuali per criticare l'operato del regime, e non per forgiare cittadini liberi e consapevoli. Che il sistema democratico possa produrre una diffusione sconsiderata di una gran varietà di conoscenze, tesi pure questa sostenuta dal nostro, è certamente vero, non abbiamo infatti nascosto il problema della sovrabbondante proposta, quanto al fatto tuttavia che esse non valgano proprio in virtù di una simile produzione ancorché sconsiderata, abbiamo delle riserve giacché il difetto della situazione può essere corretto dal saper affinare la scelta delle stesse, mentre è da ritenersi di gran lunga peggiore, a nostro modo di vedere, una sottoproduzione di idee e conoscenze, particolarmente quando queste dovessero insistere sui soli temi decisi da un governo dispotico, dittatoriale. Sapersi districare in una foresta di informazioni richiede il possesso di una bussola, e forse anche di una cartina, metaforicamente parlando e, uscendo fuor di metafora. riconduce a doti di intelligenza che doverono essere addirittura dell'uomo primordiale, forse del cacciatore paleolitico, doti legate a intuito, osservazione e un senso mistico della vita, che è poi una delle cose di cui Guénon lamenta l'assenza nel mondo moderno e in modo marcatamente maggiore in Occidente.

In definitiva non riteniamo affatto che la costituzione di un'élite sia in contrasto con gli ideali democratici, anzi pensiamo che la Democrazia sia proprio quel terreno fertile dal quale lo sviluppo della persona umana possa procedere, cosa fondamentale per la costituzione di un'élite giacché è solo dallo sviluppo personale che un intelletto, raggiunto un adeguato livello, può risolversi a valutare l'opportunità di fondersi in un gruppo avente gli stessi intenti, è solo uno sviluppo personale che può portare il singolo a comprendere determinati problemi e, decidere di farvi fronte in base alle proprie possibilità e alle proprie scelte, come da articolo 4 della Costituzione,  arrivando magari a riconoscere che un gruppo di personalità omologhe per certi versi e complementari per altri, possa e debba in qualche modo costituirsi per rendere possibile un cambiamento positivo di rotta, in una società che forse abbisogna proprio di questo.

Altro canto è quando Guénon ci parla dello scientismo per quanto egli lo ritenga collegato al problema dell'istruzione che, sia detto per inciso, non riteniamo di aver esaurito, tanto ci sarebbe da dire ancora, e della propaganda che per giungere alla massa percorre quella che lui chiama la volgarizzazione. Sullo scientismo, che si oppone alla vera scienza, si possono leggere nel testo delle pagine sorprendenti per quanto possano essere applicate allo stato attuale delle cose e a fenomeni anche molto recenti quali quello per esempio della cosiddetta pandemia.

Già quando esordisce dicendoci che la civiltà occidentale moderna ha, fra le altre pretese, quella di essere essenzialmente << scientifica >> ravvisiamo subito quanto questa caratteristica abbia attraversato il tempo inalterata per giungere a noi, e forse in maniera addirittura accentuata. Gli appelli che la politica fa alla scienza che, salvo lodevoli eccezioni, sono un esempio di questa pretesa, in questo supportata da una informazione sostanzialmente adiacente e purtroppo acritica, dove a difettare è il pluralismo delle idee, si sono intensificati durante lo stato di emergenza sanitaria, sfruttando spesso il canale televisivo con cadenze e orari regolari per proclami alla Nazione invadendo gli spazi personali, casalinghi con dubbio gusto e pertanto in generale di dubbia pertinanza e al di fuori dei consueti canali istituzionali, e sono quindi freschi nella mente di ognuno di noi. Che poi l'appello sia allo scientismo e non alla scienza, certo, non è una cosa della quale tutti si possano rendere conto perché un minimo di preparazione ci vuole. In ogni caso ciò che non è compreso nell'immediato dall'intelletto, gradualmente si fa strada nell'inconscio e talune disarmonie e incongruenze vengono percepite più dall'istinto che dalla ragione. Anche la massa quindi percepisce che in questi appelli qualcosa non quadra.

Si potrebbe dire una società essenzialmente scientista piuttosto che essenzialmente scintifica. Del resto se il nostro ha inserito queste critiche nella sezione intitolata ILLUSIONI OCCIDENTALI,  una qualche ragione deve pur averla avuta e in questo caso ci sentiamo di sostenere appieno il punto di vista.

Questa famosa Scienza con la maiuscola, così come il Progresso, la Civiltà, il Diritto, la Giustizia, la Libertà, sono vissuti, con le debite eccezioni aggiungiamo noi, come veri e propri idoli, come divinità di una specie di << religione laica >> che tuttavia non è religione in senso proprio bensì qualcosa che pretende di sostituirsi a essa e che meriterebbe il nome di << controreligione >> egli ci spiega. Del resto chi non ha ravvisato un senso di laica religiosità e soprattutto di autentico dogmatismo in certi appelli alla Scienzah, ci aggiungo anche l'acca? Appelli dal sapore di imposizione, tant'è che questi proclami, con apportune tecniche mediatiche, sono stati tenuti ben lontani dalle critiche che pure avevano diritto di sussistere, dimostrando con questo un atteggiamento di certo non democratico. In vero non si trattava di appelli alla scienza, quanto piuttosto, come dicevamo, di appelli allo scientismo, il che spiega in effetti questa democraticità assente e questo dogmatismo.

Che cos'è esattamente la scienza di cui l'Occidente va tanto fiero?

Che sia giusta quella definizione che sembra condivisa dalla maggioranza degli orientali per cui è definita un sapere ignorante?

Guénon nel provare a spiegare questa espressione afferma che è un sapere anche valido per certi versi, però in un ambito relativo, per cui è irrimediabilmente limitato, ignorando l'essenziale ed essendo difettoso di principio, assenza che egli ritiene costitutiva della civiltà occidentale moderna.

Può anche darsi che il giudizio del francese sia eccessivamente severo, però non c'è alcun dubbio che sull'assenza di principio sussistano ancora oggi gravi problemi e che addirittura questi siano purtroppo in repentino aggravamento. In altre parole la severità che egli esprime sembrerebbe adattarsi meglio all'oggi che non all'Occidente di ieri, quello a lui contemporaneo.

Per avere un'idea dell'aggravamento di ciò basti pensare a fenomeni come quelli legati ai giuramenti, nelle varie sedi e nei vari ambiti dove questi avvengono. Gli insegnanti in Italia non giurano più sulla Costituzione e si sente dire, non so con quanta veridicità in questo caso, che i nuovi medici non facciano più il giuramento di Ippocrate; inoltre anche quando i giuramenti continuano a sussistere ciò avviene sempre con un senso di sufficienza, quasi alludendo al fatto che sì, c'è questa tradizione, rispettiamola, però in fondo che c'importa, chi ci crede più a questa pratica ormai puramente esteriore, è una cosa essenzialmente pro forma. Errore.

Questo purtroppo è molto grave. Perché se le competenze, mettiamo in ambito medico, non vengono indirizzate da un principio, quale quello che può essere immeso da un solenne giuramento, in questo caso quello di Ippocrate, rischiano di prendere una direzione sbagliata. Dalla somma di queste direzioni sbagliate deriva un danno sociale non indifferente. Per queste ed altre ragioni, quando notiamo che momenti solenni come quelli legati ad un giuramento vengono deprezzati, derisi, sminuiti o, quel che è peggio, tolti letteralmente dal panorama sociale anche dove avevano avuto un ruolo significativo ed erano una componente di una importante tradizione consolidata, vedi per esempio nella scuola, deve scattare un campanello d'allarme né ci si può esimere dal pensare che sia in atto una intenzionale azione tesa a togliere una guida, vorremmo dire un principio guida, alle azioni collegate ad una funzione professionale o istituzionale. Dobbiamo infatti pensare che le competenze da sole non bastano a fare di un professionista un buon lavoratore nel priprio campo o un buon cittadino, proprio perché, come dicevamo prima, esse possono essere sospinte in direzioni molto poco edificanti, e giungere in alcuni casi perfino a sostenere azioni delinquenziali. Non possiamo esimerci nemmeno dal pensare che l'intenzione di chi vuole togliere solennità e principi alla vita sociale, civica e professionale, sia mosso dal desiderio di vedere quella società in qualche modo modificata in peggio se non del tutto privata di senso e profondità o addirittura annientata, svuotata dell'anima, svilita e resa passiva, buona solo per essere conquistata. Ecco, tra le caratteristiche più peculiari dell'Occidente riscontrate da Réne Guénon c'è proprio il fatto di aver tolto ogni riferimento ai principi di ordine superiore nelle varie attività dell'uomo e questo non può, dal suo punto di vista, che far degenerare una società, renderla l'ombra di se stessa. Per quanto noi tendiamo ad essere assai più indulgenti del francese nei confronti dell'atteggiamento scientifico venuto in auge dal Rinascimento in poi, e soprattutto dal Seicento in poi, quello che si è poi modificato in scientismo, arrivando addirittura a pensare che in alcuni casi l'affrancarsi da principi di ordine superiore abbia avuto una funzione anche positiva, soprattutto quando questi principi venivano veicolati con spirito dogmatico, e quindi sostanzialmente sviliti essi stessi e usati politicamente, e divenivano fonte di ingiustizia, non possiamo non riconoscere il fatto che senza un principio guida l'operato dell'uomo si svilisce e perde di significato, rischiando di divenire pericoloso, nonché suscettibile di compromettere il dialogo e la comprensione reciproca con culture che questi principi riescono a mantenere assai più intatti e presenti in ogni ambito del proprio vivere quotidiano. 

Quando il pensatore francese ci parla in questo saggio dell'illusione scientifica e tocca l'argomento dello scientismo, ci sembra poi addentrarsi in consderazioni veramente degne di nota non solo e non tanto in riferimento alla società a lui contemporanea, quanto in modo marcatamente maggiore se attualizzate e poste in riferimento a quella odierna, dal momento che molti di questi argomenti potrebbero essere usati per spiegare fenomeni come quelli che che abbiamo vissuto di recente e legati allo stato d'emergenza sanitario, con tutti i suoi risvolti.

Per Guénon gli atteggiamenti possibili in Occidente per quel che concerne la scienza ridotta a scientismo, il che equivale sotto certi punti di vista al suo annichilimento puro e semplice, sono o rassegnarsi al carattere ipotetico delle teorie scientifiche rinunciando a qualsiasi certezza superiore alla semplice evidenza sensibile, oppure non riconoscere questo carattere ipotetico e credere ciecamente a tutto quello che viene insegnato nel nome della sedicente scienza. Egli riconosce nel primo atteggiamento qualcosa di sensato, certamente di più sensato dell’altro, e lo fa corrispondere a quello di certi scienziati meno ingenui degli altri che si rifiutano di farsi ingannare da strane teorie, neanche da quelle dei colleghi così che, per tutto ciò che non è pratica immediata finiscono per adottare una specie di scetticismo  più o meno totale, in una sorta di << agnosticismo >> non più applicato a ciò che oltrepassa la scienza, per applicarsi all’ordine scientifico stesso. Se essi abbandonano questo atteggiamento, ci spiega il pensatore francese, è solo per una sorta di pragamatismo che sostituisce la considerazione di una ipotesi veridica con quella del suo essere semplicemente comoda, utile, per qualche scopo. Che potrebbe benissimo non afferire ai principi ippocratici, parlando di medicina.

Mentre l’altro atteggiamento è quello che potremmo definire dogmatico ed è tenuto da altri scienziati, se vogliamo chiamarli così, quando in modo sincero quando molto meno,  e soprattutto da quelli che si credono obbligati dalle dinamiche dell’insegnamento ad essere per forza affermativi rispetto a certe proposte teoriche, imponendosi di apparire sempre sicuri di sé e di ciò che si dice, nascondendo difficoltà e incertezze, non enunciando mai nulla in forma dubitativa, così da apparire autorevoli agli occhi di un inesperto, cioè quando si ha a che fare con un pubblico in genere, profano, quindi sostanzialmente incompetente e privo spesse volte di discernimento. Incantare un pubblico così non dovrebbe rendere fieri di sé.

In ogni caso, sembrare e non essere è come filare e non tessere, dice il proverbio.

Oggi apparire autorevoli è diventato più facile di un tempo grazie ai mezzi di informazione di massa, grazie cioè ai giornali, alle trasmissioni radiofoniche e soprattutto a quelle televisive e a un uso sapiente della regia, anche le ipotesi più fantascientifiche veicolate da personaggi variegati, da quelli che appaiono effettivamente autorevoli, rischiando però così di mettere in discussione la propria autorevolezza, a quelli più stravaganti, magari in una studiata mescolanza, quelle ipotesi acquistano dicevamo dignità di scienza anche quando la scientificità è ancora tutta da dimostrare e quindi è prematuro lanciarsi in simili affermazioni, incantando molti prima che convincendo, non persuadendo la coscienza del pubblico. Fare appello alla consapevolezza non sembra essere una componente del sistema. Con simili caratteristiche non possiamo proprio non pensare alla recente vicenda covid.

Potremmo ancora essere disposti ad accetare in linea di principio che qualcosa di nuovo e tecnologicamente avanzato possa sussistere ed affacciarsi nel mondo della medicina, sarebbe assurdo il contrario, però non siamo disposti ad accettare che si oltrepassino i sistemi di sicurezza peraltro decisi dall'esperienza scientifica stessa, per cui ciò che è nuovo, quindi sperimentale, scavalchi le procedure e le tempistiche di sicurezza, e nemmeno che simili ritrovati vengano imposti come obblighi, pena l'esclusione dal mondo sociale e da quello del lavoro, è un eccesso inammissibile.

In questa vicenda l'atteggiamento scientista si è sostanzialmente sostituito a quello scientifico vero e proprio, in modo tale però da non far notare questa sostituzione così da rendere pervasa dell'aura di scientificità ogni teoria e ogni proposta commerciale e industriale. Non c'è alcun dubbio ormai, moltissimi confermano questa tesi, che per la vicenda covid si sia trattato di una grande operazine di mercato piuttosto che di scienza.
Una simile cosa non potrebbe sussistere in un mondo nel quale i principi albergano ancora e vivificano l'operato dell'essere umano.

Dove questi principi sono invece assenti al più alto grado i danni non tardano a comparire e se ne possono fornire degli esempi clamorosi.

In qualsiasi società, di ogni tempo, comprese le più antiche, un individuo in grado di curare da una malattia ogni persona che gli si presentasse, sarebbe stimato e lodato e in alcuni casi potrebbe addirittura assurgere ai gradi più alti di quella. Nella vicenda covid abbiamo assistito all'esatto contrario, cioè a dire, medici che hanno curato con altissime percentuali di riuscita e in alcuni casì con la totalità dei successi, sono stati radiati dall'ordine dei medici o ne è stata tentata la radiazione, essendo alcuni provvedimenti sub iudice, per ragioni che sembrano del tutto pretestuose e in ogni caso del tutto secondarie risepetto alla ben più rilevante questione dell'onorevole condotta, perfettamente aderente ai princiupi ippocratici, seguendo i quali essi hanno ottenuto quel successo di guarigioni, di gran lunga superiori rispetto a quelli ottenuti da chi seguiva i protocolli ministeriali o blande indicazioni mascherate di falsa autorevolezza e scambiate per obblighi da un personale medico piuttosto passivo purtroppo, anche qui salvo lodevoli eccezioni, e certamente non provvisto di quei requisiti che gli avrebbero permesso di obiettare qualcosa. Non che le eccezioni non ci siano state, come dicevamo, per fortuna, però evidentemente non in numero sufficiente da determinare un ripensamento di impostazione ai maggiori livelli che, appurata l'assenza di qualsiasi reazione degna di questo nome, hanno interpretato la cosa come semaforo verde. Ci preme far notare che punire chi ottiene successi professionali è contrario a qualsiasi logica, per cui il fenomeno appare piuttosto grave e del tutto in contrasto col dettato costituzionale, anche perché il lato 'didattico' della questione sembra promettere una estensione del fenomeno punitivo, disincentivando iniziative coerenti col dettato ippocratico, ciò che sembra il segno evidente di quell'autolesionismo occidentale di cui abbiamo accennato in precedenza. Soltanto una società che è giunta a pervertire la propria ragione può pensare di procedere in questo modo assurdo. In ogni caso la Costituzione esiste e non è possibile per una mente normale non pensare che tutto ciò sia in contrasto con tutti i principi costituzionali e pensiamo che il popolo percepisca queste storture. 

Sono considerazioni che invitano a correre ai ripari perché una società così contraddittoria non può lungamente resistere, e se non viene bloccata la degenerazione il suo incedere potrebbe sfociare in chissà quale tipo di reazione, tale per cui un qualche tipo di contromisura diviene a questo punto doveroso, necessario, anche attraverso un'opera di autocorrezione, di ammissione di errori, anche attraverso opere degne di correzione, evitando in ogni modo di perseverare nell'errore. Se ciò non dovesse avvenire, il mondo occidentale rischia di non riprendersi più o, nel migliore dei casi, di degradarsi a livelli tali da decadere da quel ruolo che vorrebbe affidare a se stesso, quello cioè di guida del mondo, per lunghissimo tempo. Per queste ragioni speriamo di notare cambiamenti in questo senso, un ravvedimento è sempre possibile e scongiurerebbe una decadenza altrimenti impossibile da evitare.

Ben lungi dall'avere solo difetti l'Occidente possiede e conserva molti pregi, sono quelli che gli hanno permesso per esempio di forgiare la Democrazia, il che significa che delle speranze ci sono, e una di queste consiste proprio nel ripristinare la voce del popolo, la sua rappresentanza, una concezione forte dello Stato di dirtto che guardi ai diritti naturali, un impiego delle proprie conoscenze e della propria scienza fondato su principi di ordine superiore, come auspicato da Guénon, una riscoperta cioè dell'autentico significato di ciò che è tradizione. Se quest'opera di riscoperta, accompagnandosi a quella di autocorrezione e ad una coscientizzazione generale, che si faccia guidare da principi cristiani dovesse avere luogo, potremmo sperare in un futuro migliore.

A questo punto, anche per aver già scritto un bel papiro, saremmo tentati di operare una sintesi di quanto considerato fino a questo momento.

Guénon auspicava la creazione di una élite in grado di emendare l'Occidente dai suoi difetti peggiori.

Questo superamento avrebbe dovuto aumentare il livello di comprensione reciproca tra ORIENTE e OCCIDENTE.

Questo auspicio malgrado ogni buona intenzione non sembra essersi avverato o sembra avere avuto solo un parziale successo, purtroppo così poco significativo da poterlo considerare a tutti gli effetti un insuccesso.

Può darsi che una delle cause dell'insuccesso consista nella sottovalutazione della Democrazia.

Questa sottovalutazione è forse quella cosa che costituisce il maggior errore del pensatore francese.

A causa di questo insuccesso i difetti tipicamente occidentali sono riemersi in modo estremamente vistoso, plateale, arrivando a contribuire in modo determinante ad una profondissima crisi internazionale con potenziali rischi di degenerazione ulteriore.

Con i difetti ricomparsi in modo così accentuato si è assistito ad un livello di degradazione tale dello Stato di diritto nel nostro e in altri Paesi occidentali da determinare vistosissime storture, ingiustizie di ogni tipo, prevaricazioni e un senso di sfiducia generalizzato della popolazione nei confronti delle istituzioni di proporzioni tali da non essere mai stato ravvisato in precedenza, stato di cose in cui il buon senso è così decaduto tanto che porta addirittura a punire chi dovrebbe invece essere premiato, il che la dice lunga sui livelli di confusione attualmente esistenti nel mondo occidentale.

Non di soli difetti è fatto l'Occidente che deve riscoprire i propri pregi.

 

domenica 31 dicembre 2023

Poco dopo la covid, o quasi

Una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione covid è un fatto unico nel panorama internazionale come unica è stata la scelta di dire no alla ratifica delle modifiche al trattato ESM o MES, se si guarda all’acronimo italiano, cosa sulla quale non ci soffermeremo adesso, torneremo però a parlarne in seguito. Sono fatti comunque che stanno ad illustrare come in Italia un qualche intelletto in fermento c'è, una qualche forma di opportuna critica rispetto a quanto succede intorno ai cittadini c’è e si traduce in azione politica e in prese di posizione significative proprio in quanto tese a comprendere lo stato delle cose senza accontentarsi di quello che l’informazione corrente passa. La percezione che ci sia qualcosa che non quadra o, forse meglio, qualquadra che non cosa, è abbastanza forte nei cittadini italiani, forse perché in Italia i livelli di ingabbiamento dell’informazione, sempre a senso unico, da vera rappresentante del pensiero unico e convergente, quello che di un problema offre una sola soluzione, senza cercare alternative, è stato particolarmente intenso tanto da indurre alla manifestazione di disarmonie che poi si sono mostrate intollerabili, cose che il popolo percepisce istintivamente prima ancora che razionalmente. A causa di questa intollerabilità c'è stata una reazione. In pratica il popolo ha percepito la presenza di un fattore che plasmava l'informazione a senso unico, cestinando un cospicuo numero di altre informazioni, come se i mezzi di informazione venissero gestiti in base ad un certo codice. Quando un codice riducente c’è non può non manifestarsi e se in questo caso il codice riduce l’equibrobabilità alla fonte di una serie di informazioni di manifestarsi, perché con ogni evidenza si manifesta con una maggiore frequenza solo un certo tipo di informazione e a discapito di altre che hanno la stessa dignità di rappresentazione, la cosa non passa inosservata ai sensi dei cittadini. Questa contrazione nella manifestazione di opinioni ridotte per numero ad una sola serie, sempre la stessa, appare inevitabilmente come una manifestazione di un codice che sta a monte, il quale codice non può che derivare da una posizione ideologica preconcetta che si esprime nell’impoverimento del dibattito da cui sono state escluse in effetti tutta una serie di altre opinioni, aventi diritto di albergare nel dibattito non meno delle altre. In pratica l’ideologia a monte del codice riducente rifletteva un pensiero non democratico, non rispettoso di alternative né di espressioni, di nozioni non allineate al pensiero dominante e veniva veicolato politicamente attraverso veri propri indirizzi ideologici, presumibilmente anche pressioni, nelle varie trasmissioni televisive e radiofoniche, per cui questo farsi eco a vicenda rafforzava l’impressione, in vero sbagliata, di non poter avere opinioni diverse a proposito di uno stesso fenomeno quale è stato quello inerente alla vicenda covid e nell’opinione pubblica si faceva strada  inizialmente la sensazione di non poter affrontare il problema se non coi modi espressi da questa ‘informazione ridotta’. Tuttavia le cose col tempo sono cambiate e non l’opinione pubblica nella sua interezza è stata persuasa che una sola soluzione al problema covid potesse sussistere, qualche dubbio è cominciato a subentrare e anche in quelli a cui inizialmente era stata inculcata l’idea della soluzione unica, del pensiero unico, hanno cominciato a percepire che qualcosa non si armonizzava con altri pensieri magari inconsci e questa disarmonia cominciava a manifestarsi sotto forma di disagio, malessere, disarmonie comportamentali, forse anche riprovazione di sé, negli individui più coscienziosi, per aver abbracciato tesi imposte e non discusse adeguatamente.
Dicevamo che se un codice c’è non può non manifestarsi, e infatti si è manifestato. Questo manifestarsi è stato percepito inizialmente proprio come disarmonia, più col sentimento che con la ragione, poi subito dopo questa percezione si è tradotta in pensiero razionale, strutturato, in critica compiuta e in molti casi anche in azione giudiziaria. Per queste ragioni l’Italia che ha subito gravissimi danni dalla vicenda covid, sembra ciò nonostante riuscire a reagire e a trovare, seppure faticosamente, una via d’uscita o, meglio di emancipazione che, purtroppo per certuni la via d'uscita non può più sussistere, e mi riferisco a chi ha subito gravi reazioni avverse. Per chi rimane però diviene necessaria l'emancipazione, l'aggiornamento delle proprie conoscenze e della propria precomprensione, per usare una espressione presa dal lessico dell'ermeneutica. Non importa quanto sia lenta questa emancipazione, l’importante è che dall’esperienza se ne esca arricchiti, per affrontare eventuali altre situazioni simili di epidemia o pandemia con maggiore consapevolezza e con strumenti pratici e concettuali aggiornati, con anticorpi verrebbe da dire, formati su di una vicenda che deve essere oggetto di studio continuo.
Siamo fuori dalla covid, quindi? Sì, anzi no, diciamo quasi. Chi dovesse sostenere che ne siamo fuori verrebbe oggi smentito da una certa informazione che ripropone la covid come problema gravoso e ricorrente. Perché l’informazione corrente, o forse ricorrente appunto, quella che aveva subìto la drastica riduzione delle opinioni esprimibili ed espresse a causa probabilmente di un codice riducente che rifletteva una ideologia preconcetta, sembra tornare all’attacco, però le esperienze non passano invano, lasciano qualcosa, forse proprio anticorpi.  
E per chi dice quindi che la covid sta tornando, il suggerimento è di non ricorrere all’informazione terrorizzante come in passato, non vale il discorso che si faceva all’inizio della ‘vicenda pandemica’ così utile a terrorizzare, cioè a dire non ci si può appellare al fatto che essa, la covid, sia giudicata incurabile perché oggi, studi scientifici, ricerche, ammissioni, esperienze, ci dicono chiaramente che la covid è curabile con farmaci antinfiammatori, niente panico quindi, ed eventualmente, correre a comprare i FANS.

venerdì 3 novembre 2023

Dell'uso di espressioni ambigue in ambito giuridico

Apprendiamo dell'uso dell’espressione no vax in documenti ufficiali di ambito giuridico e ci sorprendiamo perché non pensavamo che ci si potesse spingere fino a questo punto, cioè che quell'espressione potesse essere utilizzata in questo ambito, che ha peraltro un suo linguaggio tecnico specifico che persegue l'esattezza logica. Ci sorprendiamo, essendo l'espressione in questione abbastanza evanescente da non poter definire alcuna categoria con precisione assoluta mentre, di contro, è talmente ricolma di pregiudizi da rappresentare un elemento divisivo, per certi versi fuorviante e di compromissione di qualsiasi contatto dialettico tra posizioni contrapposte quando usato in un dibattito. Prudenza vorrebbe quindi che non si utilizzasse né in generale, né in certi ambiti specifici, come quello giuridico appunto, essendogli preferibili definizioni migliori e meno ambigue. Naturalmente comprendiamo bene come sia abbastanza velleitaria l'idea di arginare l'uso di questa famigerata espressione nel linguaggio corrente, quello dell'uomo della strada come si diceva un tempo, benché spereremmo che non risultasse altrettanto velleitaria quella di arginarne l'uso in ambito giuridico.


Cogliamo intanto l'occasione per far notare che tra i pericoli per la collettività c'è, fortissimo oggi, quello di subire l’iniziativa di chi immette deliberatamente o no, nell'informazione corrente, nei discorsi in generale, nei mezzi di informazione di massa, espressioni stranamente capaci di non permettere la comprensione dei fenomeni e degli eventi di cui si vorebbe trattare, rischiando in taluni casi anche di frantumare la coesione sociale, di fomentare e riattizzare l’odio e la divisione tra cittadini che legittimamente hanno posizioni personali diverse circa determinati eventi e che però non per questo devono esacerbare i propri animi al punto da far degenerare i rapporti sociali, e quando c'è una discussione di desiderarne purtroppo l'abbandono.

Non è fuggendo il confronto che si vincono le battaglie politiche, né è così che si crea un mondo più giusto e una società civile e democratica migliore. Così tutto ciò che concorre a turbare un confronto dovrebbe essere usato con estrema cautela.

Da un punto di vista psicologico e psicoterapeutico, precisamente della psicoterapia della Gestalt, un simile modo di procedere, quello cioè di impedire il contatto tra opinioni diverse, non importa in quale modo, genera conflitti nevrotici. I conflitti nevrotici non sono mai forieri di tranquillità sociale ed è sostanzialmente irresponsabile generarli. Subentra quindi il rammarico nel constatare che anche in ambiente giuridico, che è peraltro costituito da persone di una certa cultura generale oltre che specifica, non maturi una sensibilità tale da spingere e spingersi ad evitare che simili compromissioni sussistano, o che focolai d'odio si riattizzino, e continuiamo a rammaricarci del fatto che una simile auspicabile attenzione, quella di evitare di immettere tensioni nevrotiche veicolando espressioni evanescenti e dai confini incerti, ambigue e cariche di connotazioni dispregiative, nonché ricche di pregiudizi, sia in taluni sostanzialmente assente. 

Purtroppo il confine incerto di una espressione verbale come il confine incerto di una figura, rende tale anche il contatto tra interlocutori che la veicolano per connettersi, e un contatto incerto compromette il confronto, un potenziale risultato creativo positivo, nonché una esatta comprensione degli eventi trattati o comunque una migliore comprensione di essi. In pratica, se vuoi che un evento, un fenomeno, semplice o complesso che sia venga compreso, devi permettere che se ne discuta, e per permettere questo devi evitare l’uso di espressioni ambigue e fraintendibili con le quali etichettare una persona alla stregua di un prodotto, giacché questa persona che vorresti etichettare potrebbe rappresentare in un confronto dialettico aperto una risorsa importante verso un risultato creativo potenzialmente interessante.

Per il terapeuta della Gestalt, il confronto verbale, anche nel caso sia aspro a tal punto da sfociare quasi in un acceso conflitto, costituisce sempre una sorta di collaborazione, un qualcosa che supera quel che è inteso per dirigersi vero un risultato interessante. migliore. 

I risultati migliori si ottengono proprio quando le posizioni sono diverse, estremamente diverse, diciamo pure diametralmente opposte, distanti,  e gli interlocutori o collaboratori, se si preferisce quest'ultima definizione, si prefiggono seriamente di raggiungere un' intesa, senza comunque scadere nel conflitto vero e proprio se è possibile evitarlo, cioè sostanzialmente rispettandosi a vicenda e mantenendosi in contatto reciproco. E questo rispetto dell'interlocutore raramente è stato presente nei dibattiti televisivi o radiofonici inerenti per esempio alla vicenda covid dove al contrario le posizioni non allineate venivano disprezzate e le persone che se ne facevano portavoce stigmatizzate con vari epiteti ed isolate poi in sostanza dal dibattito. Invece finché le persone rimangono in contatto e si prefiggono la migliore conquista creativa possibile, quanto più acutamente differiscono nella propria opinione e discutono il problema apertamente, tanto più probabilmente produrranno collettivamente un’idea migliore di quella che ognuno di essi aveva individualmente all'inizio, che è esattamente ciò di cui avrebbe bisogno la nostra società per crescere, evolversi e maturare, se solo si favorissero i confronti anziché comprometterli con l’uso scellerato di espressioni, e in generale di un lessico che sembra nato per minare alla fonte ogni possibilità di vero incontro e favorire anzi la nevrosi. 

Ora, provate a immaginare se isolamento e radiazione possano considerarsi forme di mantenimento del contatto, possono? Se chi ha opinioni diverse non viene visto come una risorsa, quanto piuttosto come una minaccia, se non se ne chiede la collaborazione per giungere ad un risultato creativo migliore, potenzialmente interessante, e viene sostanzialmente espulso dal proprio ambito, quello in cui lavorativamente si svolge la sua personalità, in modo tale che nessun contatto possa sussistere in quell'ambiente, quale vantaggio avremmo? Quale comprensione, quale apprezzamento c'è, verrebbe da chiedersi, del potenziale creativo inerente ad un confronto che si basi su posizioni anche acutamente differenti? Nessuno mi pare e non è di queste esclusioni che abbiamo bisogno.

Non c'è alcun dubbio inoltre che tra l'impiego di espressioni evanescenti, ambigue e tuttavia cariche di pregiudizi, capaci come sono di compromettere il contatto e una sana discussione sin dagli esordi, e azioni drastiche come quelle di una radiazione, sussistano dei fattori comuni ben precisi, come per esempio quello di condividere una forma mentis tesa all'esclusione, all'isolare, cose che dovrebbero essere così fuori moda in una società che vuole pensarsi inclusiva e aperta, salvo poi comparire esclusiva e chiusa dove e quando il danno arrecabile da una simile vistosa inversione di rotta è maggiore. Che strana contraddizione. Radiare del personale che è giunto alla professione dopo interi anni di fatica, di studio, di esami, dopo esperienze professionali e umane importanti, sulla base del fatto che ha opinioni diverse da quelle cosiddette ufficiali, rappresenta un'azione francamente sbagliata, eccessiva, estrema, drastica, come estremo e drastico è il rifiuto del contatto potenzialmente creativo di chi opera o pensa diversamente. Sospingere poi ad isolare, a stigmatizzare chi non si allinea al pensiero unico, su posizioni che peraltro il tempo ha dimostrato sbagliate, dimostra che purtroppo da un lato si è molto inclini a fomentare relazioni nevrotiche con tutti gli effetti negativi che queste comportano e immettono nella società, e dall'altro molto lontani dal comprendere le potenzialità di chi, atrraverso un pensiero divergente, ha fornito una diversa soluzione ad uno stesso problema peraltro difficile o presentato come tale. Perché oggi, in Italia, può capitare anche che un medico che abbia ottenuto la guarigione di ogni paziente venga radiato, senza che nessun evento lesivo possa essergli ascritto come prova di una eventuale condotta non comforme ai protocolli.

C'è un potere che si manifesta con provvedimenti drastici, sproporzionati, per certi versi violenti e non ci stupiamo che quello stesso potere desideri immettere nel circuito mediatico, nozioni, parole, espressioni, locuzioni che servono per imbrigliare il discorso per dirigerlo verso l'interpretazione desiderata, dominarlo sin dall'inizio allo scopo di non permettere una esatta comprensione dei fenomeni politici e sociali, e per fomentare divisioni e incomprensioni sfavorendo il contatto creativo con un pensiero diverso, potenzialmente fruttuoso.

E tra queste espressioni certamente no vax rappresenta la più nota e gettonata, forse proprio perché è estremamente funzionale a etichettare le persone, a catalogarle dispregiativamente, ad accantonarle, a non permettere veri incontri, né veri scontri del resto, quanto piuttosto una parvenza di essi, sempre che esse espressioni non costituiscano già agli esordi il motivo di una repentina conclusione nevrotica di ogni discussione. 

Se l'uso di un lessico funzionale al potere nella misura in cui non permette se non di giungere a ciò che lo stesso potere vuole è sempre da scongiurare, vedi l'uso dell'espressione no vax appunto, quando questo lessico fa il suo ingresso in un ambito particolarmente delicato come quello giuridico viene fatto di pensare che ciò manifesti e rifletta una profonda degenerazione culturale, politica e sociale, cosa grave quindi e tuttavia non gravissima poiché ancora rimediabile se individuata tempestivamente e debitamente arginata, non tanto grave insomma quanto sarebbe il fatto che una simile degenerazione risultasse da un'azione consapevole, intenzionale, cosa che sarebbe di gran lunga peggiore. Che si tratti di cosa intenzionale oppure no, non sussiste alcun dubbio comunque che una qualche forma di degradazione, di degenerazione è in corso, il che conferma purtroppo, anche da questo punto di vista, il non perfetto stato di salute, attualmente, del mondo occidentale di cui in altre occasioni abbiamo avuto modo di parlare.

 

Con "Io ho votato NO" nel nome, c'è esclusivamente un riferimento al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari.


lunedì 30 ottobre 2023

Pressioni europee all'Italia per ratificare l'ESM

In questi ultimi giorni si assiste ad un certo numero di pressioni a livello europeo sull'Italia, per indurre il nostro Paese a ratificare le modifiche al trattato ESM, acronimo che sta per European Stability Mechanism, il cui corrispettivo italiano è MES, Meccanismo di stabilità Europeo. I suggerimenti che vorrebbero indurre alla ratifica non sembrano del tutto disinterresati. Come dire? Trattasi di consigli dati a beneficio del consigliere e non del consigliato. Se poi a questi si aggiungono delle minaccie come quella di non procedere ad un patto di stabilità generoso, ovvero a precedre verso uno gravoso, ecco che il velo del disinteresse cade del tutto e lascia intravedere anche una certa impazienza. Insomma, sembra che questo ESM o MES che dir si voglia, sia un qualcosa che faccia comodo come dicevamo ai suggeritori piuttosto che al destinatario dei suggerimenti, come nella migliore tradizione dei consigli senza coda, così chiamati in ossequio alla favola di Esopo, La volpe senza coda, che varrebbe la pena leggere. Nelle diatribe politiche o, per meglio dire, nel gioco dialettico tra maggioranza e opposizione, spuntano opinioni come quella inerente alla perdita di credibilità in caso di non ratifica. È un giudizio, permetteteci, abbastanza superficiale e come vedremo senza una vera e propria legittimazione fattuale. Non possiamo proprio non osservare infatti come la questione dell'essere o non essere credibili non possa prescindere dal contenuto del trattato stesso, piuttosto che da un impegno alla ratifica che del resto non c'è mai stato, se è vero, com'è vero, che nel Governo precedente il ministro dell'economia era stato vincolato dal Parlamento alla non ratifica. Quindi non c'è incoerenza neanche col recente passato e se la credibilità consiste nella coerenza agli impegni presi, non essendoci mai stato un impegno alla ratifica non si rischia di non essere credibili. Se poi ad impegnarsi informalmente sono state figure politiche che parlavano a nome e per conto proprio e senza mandato parlamentare, sono esse che devono rispondere della propria inziativa personale e magari spiegare anche come mai essa si muova in modo non conforme agli indirizzi parlamentari. Quanto a chi si occupa di ESM da un po' di tempo, da circa un decennio, ed ha avuto modo di formarsi sia leggendo personalmente il trattato, sia attraverso l'opinione detta e scritta di personalità come Lidia Undiemi, Claudio Messora, Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai, Giuseppe Liturri, Vladimiro Giacché, Fabio Dragoni e altri, scusandomi per l'assenza di titolatura, che si sono occupati della questione con competenza e pertinenza non sussiste alcun dubbio che rispetto ad una quetione di generica credibilità che peraltro non sussiste, come abbiamo cercato di spiegare, il contenuto del trattato acquisti una valenza di gran lunga maggiore. Chi conosce il contenuto sa bene quanti e quali ragioni sussistano per non ratificare questo trattato per cui sarebbe anzi tentato di pensare che l'unica credibilità che perderemmo nel caso di non ratifica sarebbe quella dell'autolesionista ed anche quella del credulone ingenuo che non legge i trattati e li ratifica sulla base del sentito dire o, peggio, di consigli non proprio disinteressati. Cioè a dire, non saremmo più credibili come creduloni, il che rappresenta una conquista e non una regressione.

sabato 30 settembre 2023

Rappresentanza, autorevolezza e autoritarismo in sistemi sui generis

Sembra ad un numero crescente di persone, dotate spesso di una preparazione e una cultura generale non proprio comune, che l’Occidente si trovi attualmente in una fase di declino, per varie ragioni.
Tra le ragioni del declino occidentale cosa potremmo annoverare?
Per esempio una scollatura piuttosto evidente e profonda tra popolo e rappresentanti dello stesso, tra elettori ed eletti, se preferite. In pratica cioè si tratta di un qualcosa che implica una riduzione dei livelli di rappresentanza degli stessi cittadini il che è alla scaturigine di varie problematiche come si può facilmente intuire. Ciò comporta per esempio che le decisioni politiche non vanno incontro alle esigenze degli stessi cittadini i quali subiscono anzi l’iniziativa dall’alto di singoli detentori di potere, ovvero di istituzioni politiche che, date le verticalizzazioni avvenute e in corso, calano sempre più dall’alto i propri diktat e rispondono ad esigenze che non corrispondono appunto a quelle del popolo. Ne nasce un problema non da poco che può essere risolto solo intervenendo sull’organizzazione stessa del sistema politico, cambiandolo. Ora, per esempio, quello dell’Ue è un sistema che, come riporta il sito ufficiale stesso, sempre che non sia stato modificato nel frattempo, è definito sui generis, cioè a dire non tipico, non usuale, che si pone fuori dai soliti generi, non trova cioè molti corrispettivi al mondo, e che necessiterebbe di essere approfondito, di essere studiato a fondo per individuarne i punti critici ed eventualmente intervenire su di essi con opportune migliorie.

Chi impone una decisione dall’alto non tiene spesso conto delle conseguenza che questa implica sul piano pratico ai singoli cittadini, i quali si trovano a subire questa decisione senza peraltro poter contare su degli interlocutori che possano farsi carico delle proteste giacché in molti casi dinanzi a queste, soprattutto se istintive o estemporanee, o anche quando sono riflessive e circostanziate, spesso ottengono poco come risultato, poiché la risposta che si dà, per fare un esempio, è che si tratta di una decisione che è stata prese in altre sedi, cioè non quella comunale o regionale o nazionale,  e sulle quali non è possibile quindi intervenire, se non nella stessa sede di origine. In pratica i cittadini non trovano l'interlocutore giusto, non nell'immediato. Protestare con un sindaco potrebbe ottenere come risposta semplicemente che non si stanno rivolgendo a chi di dovere, perché si tratta di una decisione inerente ad una normativa europea. Quindi il discorso rischia di concludersi lì, rimanendo in sospeso e si danno pochi appigli. Eppure se esistesse un effettivo sistema di rappresentanza politica quelle istanze e quelle proteste dei cittadini troverebbero espressione nelle giuste sedi, così da essere rappresentate degnamente, anche anticipate se vogliamo in un certo senso. Invece non sembra proprio che prima di tali decisioni di ambito europeo, dalle quali scaturiscono poi le normative, quelle istanze emergano, a imbasture una azione preventiva, tesa cioè a prevenire quelle proteste in anticipo, questo non sembra trovare espressione, forse perché gli stessi rappresentanti politici non hanno saputo o potuto cogliere i disagi che sarebbero scaturiti, forse anche per la presenza di poco dibattimento in sede di Parlamento europeo. Così le normative si trovano a non essere espressione del popolo e dinanzi alle proteste ci si limita sovente a spostare semplicemente la patata bollente, alzando le mani e dichiarando che no, non è colpa del sindaco o del presidente del Parlamento regionale, bensì della normativa europea che doveva essere recepita e applicata, rinunciando peraltro allo sforzo di comprenderne le ragioni, nonché a quello di immedesimarsi nei cittadini stessi che lamentano il disagio. Da ciò deriva che solo un ripensamento dei criteri di rappresentanza potrebbe forse correggere questo tipo di dinamiche. Naturalmente un ripensamento dei criteri di rappresentanza non è cosa di immediata risoluzione, giacché implicherebbe dei passaggi complessi, difficili, incerti, sempre ammesso poi che sussista la giusta condivisione in generale sull'idea di apportare modifiche in primis e poi sulle specifiche modifiche da apportare, scusate il gioco di parole.
Insomma siamo di fronte a dei sintomi che attestano come una contrazione dei livelli di rappresentanza, quindi dei livelli di Democrazia, alberghi in strutture politiche occidentali quali sono quelle dichiaratamente sui generis dell’Unione europea.
Comunque la si voglia pensare non è proprio possibile ignorare il problema innescato dalla contrazione di rappresentanza, e per fortuna dei segnali che esso stia emergendo come tale, cioè come problema, è confermato a vari livelli, anche dal fatto che un numero sempre crescente di cittadini di variegati settori e ambiti culturali, provenienti anche dal mondo giuridico sottolinea il problema.

Per esempio Vincenzo Baldini, costituzionalista, dice che ormai l’impatto della politica europea su quella nazionale e sulla portata dei diritti fondamentali nello Stato è talmente intenso che si pone con forza e in modo addirittura indifferibile la questione del deficit di legittimazione democratica degli organi del governo sovranazionale.

Questo deficit di legittimazione democratica risulta quindi evidente agli occhi degli esperti oltre che nella percezione istintiva dei cittadini in generale.

È quindi auspicabile che si raccolgano questi segnali e si ragioni intorno a tale questione, ad un ripensamento della natura giuridica e istituzionale dell'Unione europea, prima che lo scollamento a cui abbiamo accennato aumenti in misura tale da determinare uno stato politico e sociale che assuma delle sembianze autoritarie. E credo che dalla percezione del deficit democratico di rappresentanza non sia difficile passare a quella dell'autoritarismo. Nel corso della sua storia l'Ue ha mostrato in alcune circostanze di preferire l'autoritarismo all'autorevolezza. E la storia ci insegna che dove c’è autoritarismo spesso ciò avviene proprio perché non c’è vera autorevolezza, se non apparentemente. È proprio la questione dell' apparenza che potrebbe assumere un ruolo negativo, costituire un problema tale per cui le masse di persone incolpevolmente non preparate potrebbero non distinguere tra questi fattori, quello rappresentato dall’autoritarismo e quello rappresentato dall’autorevolezza, confondendoli, forse perché la confusione tra gli stessi è coltivata ‘scientificamente’ dai detentori di potere e portata avanti al riparo da processi di partecipazione e appunto rappresentanza. Potremmo dire che anzi, sono i processi dell'informazione e dei mezzi di informazione di massa che entrano in gioco deformando la percezione dei cittadini con sistemi propagandistici tesi a sovrapporre autoritarismo ad autorevolezza. Comparire dinanzi ad una telecamera con giacca e cravatta o un bel vestito firmato, sotto i giusti riflettori, dietro il giusto pulpito e sotto la giusta insegna,in un servizio televisivo ben confezionato, può far sembrare un gigante anche chi tale non è. Ne scaturisce una falsa attestazione di autorevolezza. Mentre da quel tipo di situazione propagandistica e da quel pulpito si annunciano magari decisioni dubbie, sproporzionate, ingiuste, in modo autoritario. Ciò che si cavalca insomma è una sorta di ipnosi delle masse che abituate a prendere per vero quello che dice la televisione e non essendo state dotate di una preparazione suscettibile di conferire strumenti concettuali utili, capaci di leggere i processi comunicativi e l'uso strumentale delle immagini, rimangono spesso persuase che ciò che da quei pulpiti si va propagandando non possa che essere la cosa giusta, e invece potrebbe non essere così. 

Se l'assenza di rappresentanza non permette di intervenire nella redazione delle normative, in questa alienazione trova una breccia l'autoritarismo che, attraverso le verticalizzazione degli impianti istituzioni che danno luogo a strutturazioni sui generis, e scambiato attraverso gli artifici mediatici a cui abbiamo accennato per autorevolezza, giunge a fenomeni di manipolazione delle masse tali che vistose contrazioni di diritti fondamentali vengono addirittura ritenute necessarie e pertanto accettate.

È ciò a cui abbiamo assistito con la cosiddetta "vicenda covid" sulla quale speriamo che si aprano studi e approfondimenti che una volta diffusi possano aiutare i cittadini a dotarsi di quegli strumenti concettuali e di quella consapevolezza di cui sono stati evidentemente sprovvisti all'alba della stessa. Non possiamo rinunciare a questo auspicio e sappiamo che qualcosa si sta muovendo in questa direzione.